Ricorrere al Taser anche in carcere. Il provvedimento sarebbe allo studio del Dicastero della Giustizia. Lo ha reso noto la ministra Marta Cartabia, in risposta a una interrogazione parlamentare di metà aprile. E così farebbero due. A metà marzo, il Taser è entrato nelle disponibilità degli agenti di pubblica sicurezza con compiti di ordine pubblico in 18 città italiane. I poliziotti e i carabinieri che l’hanno materialmente in dotazione – assicurano i sindacati delle Forze dell’Ordine in una nota congiunta – sono freschi di corso, grazie al quale hanno imparato a usarlo, a ridurre gli usi impropri e non necessari.
Ma che cos’è di fatto questa pistola elettrica, ad alto voltaggio, ragione per cui la scarica che emette tramortisce ma non uccide, e questo grazie al basso amperaggio? Teoricamente, sono gli ampere che provocano l’arresto cardiaco. Ma è sempre così? Diciamo che molto dipende dal contesto. Amnesty Internazional ricorda che gli studi medici sono concordi nel ritenere che l’uso delle pistole Taser abbia avuto conseguenze mortali su soggetti con disturbi cardiaci o le cui funzioni, nel momento in cui sono stati colpiti, erano compromesse da alcool o droga o, ancora, che erano sotto sforzo, ad esempio al termine di una colluttazione o di una corsa.
«Il Taser fa male al cuore – ricorda Patrizio Gonnella, presidente Associazione Antigone, per le garanzie sistema penale – come certificato dall’American Heart Association. Lo shock da Taser può produrre arresto cardiaco. Inoltre, non è chiaro se possa determinare la morte del feto se la scarica colpisce la mamma. L’agenzia Reuters e Amnesty International hanno raccontato centinaia di morti da Taser negli Usa, molti dei quali con disabilità psichiatriche. Sono loro le prime vittime da Taser».
Un caso riconducibile a quanto ricordato da Antigone ha coinvolto un musicista di una certa notorietà negli USA, il pianista pop Paul Cardall. Contro di lui e la sua famiglia sembra che il destino si sia accanito senza un perché. È il 2009, l’anno in cui Paul, all’età di 35 anni, viene sottoposto a trapianto cardiaco a causa di una malattia congenita per la quale è in cura fin da bambino. Il 2009 è anche l’anno in cui suo fratello Brian, di tre anni più giovane, muore per una doppia scarica di Taser. Brian soffriva di sindrome bipolare. Un giorno di giugno di quell’anno, in preda a una crisi, sta girando nudo per la via di Flagstaff, Arizona, dove abita con la moglie e la figlioletta di due anni, farneticando di essere il Messia. Sarà la moglie a chiamare il 911. Le telecamere in dotazione alla coppia di agenti di polizia intervenuti per primi mostrano uno dei poliziotti fare uso di Taser per immobilizzare Brian, quando questi, però, è già a terra senza possibilità di fuga. Il soggetto era esagitato e non ne voleva sapere di rimanere giù, dichiarano i poliziotti per giustificare la doppia scarica, a causa della quale Brian va in arresto cardiaco e muore.
Neppure le carceri sono il contesto più adatto per la sperimentazione del Taser. Sono superaffollate e ad alto tasso di sucidi e pratiche autolesionistiche. 11 casi di suicidio ogni 10 mila persone nel 2021, il tasso più alto degli ultimi 20 anni; il 7% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave e il 26% fa uso di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi. Sono questi i dati sulla salute psichica dei detenuti raccolti dall’Osservatorio dell’Associazione Antigone.
Del resto, come ha dichiarato il Garante per i diritti delle persone private della libertà Mauro Palma, vige «l’obbligo del suo non impiego in luoghi chiusi privativi della libertà personale e raccomandando la speciale cautela nel suo utilizzo nei confronti di persone di particolare vulnerabilità psichica o comportamentale».
Nel gennaio del 2020, il Consiglio Superiore di Sanità ha evidenziato come l’utilizzo di quest’arma può comportare arresti cardiaci nei soggetti destinatari, sottolineando come ciò dipenda «dalla potenza dell’arma, dalla durata della scarica elettrica e dalla sua eventuale reiterazione, nonché dalla sede del bersaglio».
Una sperimentazione analoga a quella in atto in Italia è avvenuta in Olanda nel 2017; nella metà dei casi s’è trattato di un uso improprio se non di un abuso tout court. Stando a un report di Amnesty International, in circa la metà dei casi, le persone colpite con il Taser erano già ammanettate, erano già costrette in un veicolo o una cella di polizia e in celle separate negli ospedali psichiatrici, in ogni caso senza che il loro comportamento costituisse una seria minaccia.
In conclusione, Taser no grazie.
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