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di Anna Pellizzone

L’introduzione del nuovo decreto ministeriale sulla sanità prevede un pesante taglio di spesa. La medicina cardiovascolare è, a dire il vero, fra le meno penalizzate. Alcuni esami ematici saranno proposti senza esenzione. Uno di questi è la colesterolemia: il medico non potrà richiedere il test del colesterolo entro i 5 anni se i valori sono normali e se il paziente non segue terapie specifiche. A rischio anche il test da sforzo: la metà di quelli eseguiti rischiano di passare per inappropriati

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Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha firmato lo scorso agosto il cosiddetto Decreto Legge sulle “prestazioni inappropriate”. Il provvedimento, che secondo il Governo dovrebbe contenere gli sprechi per gli esami inutili e fare così risparmiare allo Stato circa 7 miliardi di euro entro il 2017, prevede una stretta su 208 esami diagnostici e sanzioni per i medici in caso di “abuso” nelle prescrizioni.

Ma non sono tanto i tipi di esami inseriti nella “lista nera” del decreto a fare discutere, quanto se mai il principio secondo cui l’appropriatezza o meno di un esame diagnostico vadano stabilite a livello Ministeriale e non invece sulla base delle valutazioni del medico che si trova davanti al proprio paziente. E così, mentre i sindacati di categoria annunciano le prossime mobilitazioni, il provvedimento apre il dibattito su più fronti, dalla questione sempre più problematica della medicina difensiva, che spesso spinge i medici a prescrivere gli esami per tutelarsi da eventuali denunce dei pazienti, alla necessità di ridurre gli sprechi del sistema sanitario.

‹‹Credo che il provvedimento segua una logica positiva – ci spiega il dottor Giulio Stefanini, cardiologo presso l’Istituto Clinico Humanitas di Milano – cioè quella di andare a razionalizzare le risorse invece di attuare dei tagli lineari, come è stato fatto fino ad oggi. I tagli lineari hanno poco senso ed è giusto dare delle indicazioni su dove andare a risparmiare. Tuttavia sono contrario in linea di principio, perché cercare di standardizzare un percorso diagnostico come se fosse uguale per tutti i pazienti, quando in realtà la medicina ha a che fare con un’enorme variabilità interindividuale è concettualmente sbagliato››. E aggiunge: ‹‹È vero che da tempo si seguono delle linee guida, anche internazionali, che cercano di standardizzare i percorsi diagnostici, ma poi nella pratica spesso ci si trova a dover eccepire da tali linee guida, perché alcuni casi cadono fuori dal seminato. Per questo il decreto mi trova contrario, perché credo che siamo di fronte al rischio di precludere l’accesso alla diagnosi e alla terapia ottimale a quei pazienti che non rientrano nella categoria standard. Quindi, credo che il provvedimento vada contro l’interesse del paziente›.

Secondo la dott.ssa Laura Campi, medico di Medicina Generale a Milano: ‹‹È vero che il provvedimento purtroppo mette dei paletti per quanto riguarda la professionalità del medico, ma tendenzialmente nel mio lavoro di tutti i giorni, se devo prescrivere un esame continuerò a farlo, dando priorità assoluta al bene del paziente. Mi auguro che, se prescrivo una volta qualcosa di utile, nessuno verrà mai a contestarmelo e che il provvedimento abbia più l’obiettivo di fare da deterrente. Il caso specifico del singolo paziente si può sempre prendere in esame, e credo sia sui grandi numeri che il decreto vuole risparmiare. Giustamente, perché se per esempio al primo mal di schiena o al primo male al ginocchio prescrivo una tac o una risonanza, sono sicuramente contestabile. Ho sempre prescritto in scienza e coscienza, per cui, di fatto, non mi sento particolarmente penalizzata da questo decreto. So di andare per certi versi contro corrente, ma se la richiesta è di prescrivere in modo più oculato, giustificando quello che prescrivi, trovo che sia sensato››. E aggiunge: ‹‹L’unica cosa su cui mi sento un po’ più limitata e su cui so che dovrò stare un po’ più attenta sono gli esami strumentali, come le risonanze e le tac, perché a volte sono i pazienti stessi a richiederli ed è vero che a volte vengono prescritti senza avere l’avvallo di uno specialista. Per cui, su questi esami, sto cercando un po’ di stringere e di avere almeno la prescrizione dello specialista››.

Una delle questioni centrali legate alla riforma è quella della medicina difensiva. ‹‹Pensare di poter fare causa al medico – ci spiega ancora la dottoressa Campi – è diventata ormai un’abitudine e la gente è anzi quasi invogliata a farlo perché pensa di poterne trarre dei vantaggi. Questo è un problema reale che vivo sulla mia pelle tutti i giorni. Ma non prescrivo solo per difendermi e forse il fatto che ci sia un elenco di prestazioni considerate eccessive, in un certo senso mi legittima a rifiutare una prescrizione di un esame a un paziente››.

La lista delle prestazioni “a rischio” è molto lunga e variegata e comprende esami come la tac o la risonanza magnetica, interventi odontoiatrici, test genetici, e anche alcuni screening, tra cui quello sistematico della colesterolemia al di sotto dei 40 anni. ‹‹Entrando nel merito delle azioni previste dal decreto legge e delle procedure che saranno regolarizzate – continua Stefanini – posso dire che sono stati identificati gli esami che effettivamente sono più abusati e che quindi ha senso andare a controllare e in qualche modo cercare di limitare››.

Secondo lo specialista dell’Humanitas, ‹‹la cardiologia in realtà è molto poco toccata dal decreto attuale, nel senso che se si va a vedere la lista degli esami diagnostici che sono regolamentati, si rimane più che altro in ambito muscolare-scheletrico, quindi ortopedico. Quello che può toccare la cardiologia è invece una serie di esami del sangue, come la colesterolemia. È anche vero che quello che dice il decreto è che l’esame del colesterolo per screening sotto i 40 anni si può fare, ma che è inappropriato richiederlo entro i 5 anni se i valori sono normali e se il paziente non ha bisogno di terapia. Il che dal punto di vista clinico ha una sua logica, è ragionevole. Questo non vuol dire però che nel momento in cui si apre a criteri di appropriatezza degli esami diagnostici la cardiologia non possa essere toccata in futuro. Al momento non è così, ma la mia preoccupazione rimane, e non tanto per il danno al medico, perché il decreto prevede anche un eventuale sanzione al medico che prescrive inappropriatamente, ma per il danno possibile al paziente. Nel senso che se io mi trovassi un giorno a non poter più prescrivere un esame perché il decreto mi dice che è inappropriato e invece io lo ritengo utile, si fa un danno al paziente››.

‹‹Le porto – prosegue il dottor Stefanini – un esempio della cardiologia: il test da sforzo. Ogni settimana ne faccio 10/12. Bene, di questi posso dire che circa la metà li ritengo clinicamente inappropriati. In un paziente a basso rischio questi esami sono assolutamente inutili, quindi da questo punto di vista c’è un abuso importante. È un esame a costo zero, ma richiede comunque l’impiego di risorse in termini di tempo uomo, del personale medico e degli infermieri, e di utilizzo della macchina. Tuttavia non so se lo strumento migliore per intervenire sull’abuso di test da sforzo sia “l’inappropriatezza”, perché poi magari capita che non puoi fare il test da sforzo a un paziente sotto i 40 anni per cui sarebbe invece indicato››.

Se quindi da un lato sembra condivisa la necessità di intervenire per limitare quanto più possibile le prescrizioni inutili, dall’altro l’identificazione delle prestazioni inappropriate attraverso un elenco di esami decretato dal Ministero suscita diverse perplessità. Perché l’appropriatezza di un processo diagnostico – spiegano i medici contrari al provvedimento – non è definibile in assoluto, quanto se mai modellabile su misura del paziente. Inoltre, al di là delle ragioni di principio, anche il metodo adottato dal Governo per individuare le prescrizioni inappropriate è stata contestata dalla categoria dei medici. Come sono stati decisi i nomi degli esami su cui effettuare una stretta? Da chi e quanto sono stati consultati i medici? ‹‹Negli Stati Uniti – ci spiega Stefanini – l’elenco di esami inappropriati è stabilito da una task force di esperti del settore. Quindi non è calato dall’alto dal Ministero con un decreto legge, ma è il risultato di una discussione tra esperti. Diciamo quindi che anche la metodologia del decreto apre a una discussione››.

Ma dove altro si potrebbe intervenire per razionalizzare la spesa sanitaria? Il dottor Stefanini ci lancia qualche spunto: ‹‹Fatto salvo che si voglia contrastare la logica dei tagli lineari, credo che un intervento molto sensato sarebbe quello di ottimizzare la distribuzione delle risorse sul territorio, concentrandole in hub. Per portarle l’esempio della cardiologia, è assurdo che in Lombardia ci siano centri che cercano di offrire tutto su tutto il territorio. Sono convinto che una razionalizzazione delle risorse in questa direzione abbia molto più senso che un intervento sull’appropriatezza delle raccomandazioni diagnostiche terapeutiche››.

Se quindi da un lato il decreto ha il merito di muoversi secondo un approccio che punta alla razionalizzazione delle risorse e non a tagli lineari e di aver individuato il problema della medicina difensiva e i processi diagnostici più abusati, è anche vero che un’assolutizzazione dell’appropriatezza o meno degli esami prescritti non fa rima con le variazioni interindividuali con cui la medicina deve fare i conti. Una consultazione tra professionisti e decisori politici potrebbe però contribuire alla messa a fuoco delle falle del sistema sanitario. Un sistema ancora eccellente sul panorama internazionale, ma che va difeso attraverso interventi di razionalizzazione delle risorse.

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