di Cristina Mazzantini
Abbassare il colesterolo LDL sotto i livelli di guardia è utilissimo in prevenzione primaria, ma ancor di più in prevenzione secondaria, quando il paziente è già stato vittima di un evento cardiaco maggiore, come l’infarto. L’aiuto a non mollare con la terapia del post-infarto arriva da una nuova terapia, ovvero da un nuovo mix di farmaci, praticamente priva di effetti collaterali
Gli italiani sono fra coloro che temono più l’idea del primo infarto che la possibilità di averne un secondo. Alla base di questo paradosso è come se ci fosse un grosso equivoco. Le terapie nel post-infarto ci sono ma spesso sono interrotte dai pazienti, a causa degli effetti collaterali dei farmaci e perché si scambia lo stato di ritrovato benessere fisico come una guarigione definitiva, a fronte della quale abbondare la terapia viene erroneamente interpretata come la scelta giusta. Stando così le cose, oggi è più che mai consigliabile per il paziente perdurare nella terapia che ha come obiettivo quello di ridurre il rischio di un secondo infarto. Come? Fondamentali sono una dieta bilanciata e sani stili di vita, abbinati all’aderenza alle terapie. In più, se si vuole mantenere uno stato di salute ottimale per il proprio cuore, come consigliano i cardiologi, la carta da giocare è abbattere il colesterolo LDL, il colesterolo “cattivo” nel linguaggio comune. E quanto più si abbassa meglio è. A ribadirlo recentemente a Roma sono stati i massimi esperti nazionali che, dati alla mano, hanno dimostrato come, grazie all’abbattimento del livello di colesterolo LDL al di sotto della soglia di sicurezza di 70mg/dl, si possano evitare nuovi eventi cardiovascolari. In che modo? Grazie all’utilizzo dell’Ezetimibe in associazione alla Simvastatina, come è certificato dallo studio IMPROVE-IT, eseguito su oltre 18 mila pazienti per quasi 9 anni, in 1500 centri di tutto il mondo. È uno studio che parla anche italiano: siamo stati il quinto Paese al mondo con 600 pazienti arruolati. Dallo studio è emerso che, grazie alla doppia inibizione delle due formulazioni, l’obiettivo di ridurre il colesterolo LDL è stato raggiunto con efficacia e un buon profilo di tollerabilità nel tempo. L’Ezetimibe è un farmaco che inibisce l’assorbimento del colesterolo e contribuisce alla sua riduzione a livello circolatorio. Inoltre, quando associato a una statina, potenzia l’azione di quest’ultima, tanto che l’associazione Ezetimibe + statina utilizzata al più basso dosaggio determina una riduzione della colesterolemia pari al massimo dosaggio della statina stessa. Così, grazie alla doppia aggregazione di farmaci, gli infarti miocardici acuti si sono ridotti del 13%, gli ictus del 21% e del 6,4% gli eventi cardiovascolari in genere.
Tutto ciò si può ottenere solo a patto che i pazienti siano diligenti e non abbandonino mai la terapia. Anche perché evitare che un secondo infarto si verifichi è ormai diventato un diktat. Se infatti le morti in ospedale per infarto sono diminuite, di contro quelle a un anno dalla dimissione sono aumentate. Basta confrontare i dati. In Italia, tra il 2001 e il 2011, la mortalità intraospedaliera dell’infarto si è progressivamente ridotta dall’11.3% al 9%, mentre le nuove ospedalizzazioni fatali dalla dimissione a 60 giorni sono aumentate dello 0,13%, e quelle dalla dimissione a un anno dello 0,53%. L’andamento è ancora più evidente nei pazienti con scompenso cardiaco, dove la mortalità tra la dimissione e il primo anno è pari al 10% (2011).
Per saperne di più, abbiamo sentito il professor Gaetano Maria De Ferrari, professore di Cardiologia all’Università degli Studi di Pavia, responsabile dell’Unità Coronarica, Fondazione IRCCS, Policlinico San Matteo di Pavia, e coordinatore italiano dello studio IMPROVE-IT.
Professor De Ferrari, perché non si è riusciti ancora a ridurre i decessi per eventi cardiovascolari post ospedalieri?
“Per una serie di motivi. Innanzitutto, con il passare del tempo dall’evento coronarico, il paziente tende a rimuovere il problema ed è meno attento alla prescrizione, dato il calo della tensione emotiva. Questo si traduce, spesso, in una minore aderenza a una terapia che spesso può essere impegnativa, con molti farmaci da assumere quotidianamente a orari stabiliti. C’è poi un altro aspetto di non secondaria importanza: gli effetti collaterali. Le statine (farmaci di elezione per la patologia, ndr) possono causare disturbi muscolari che inducono i pazienti a ridurre le dosi o addirittura a interrompere la terapia, con esiti anche fatali in alcuni casi”.
Che cosa fare perché tutto ciò non accada?
“È bene ricordare ai pazienti che l’LDL più è basso, meglio è. Dalle conclusioni a cui è giunto lo studio IMPROVE-IT, si è visto che nei malati con un evento coronarico alle spalle non ci si deve limitare ad abbassare il colesterolo LDL fino alla soglia di sicurezza fissata dalle linee guida europee a 70mg/dl, ma bisogna abbatterlo di più. Non esiste, in realtà, un valore minimo: il colesterolo LDL non è mai troppo basso. Ma non solo, lo studio ha dimostrato che per ottenere questo risultato i medici hanno a disposizione un’arma terapeutica efficace e con un buon profilo di sicurezza: l’Ezetimibe, da usare insieme a una statina o in associazione precostituita con Simvastatina”.
Perché è nato lo studio IMPROVE-IT?
“Ci si è resi conto che le statine, pur riducendo il rischio relativo di eventi cardiovascolari, non permettevano di evitare del tutto nuovi eventi, facendo sì che nei pazienti restasse un rischio residuo piuttosto elevato. Quindi che fare? C’era bisogno di un altro farmaco in grado di raggiungere l’obiettivo, cioè abbassare il colesterolo in modo così significativo da ridurre gli eventi cardiovascolari”.
È vero che i pazienti coinvolti nello studio avevano dei valori di colesterolo LDL molto bassi?
“Sì. L’obiettivo era determinare se si potevano ottenere valori ulteriormente ridotti e con quale ulteriore beneficio, in termini di riduzione di eventi cardiovascolari, in pazienti con sindrome coronarica acuta e con livelli di colesterolo LDL già relativamente bassi. Per fare questo sono state messe a confronto – lo studio è stato randomizzato e in doppio cieco – l’efficacia dell’associazione Ezetimibe 10mg + Simvastatina 40mg con la sola Simvastatina 40 mg. I risultati ai quali si è giunti non lasciano spazio a dubbi: l’associazione Ezetimibe/Simvastatina riduce gli eventi cardiovascolari totali di un ulteriore 9% rispetto alla sola Simvastatina. Se si considera, invece, la sola ricorrenza del primo evento cardiovascolare, secondo quello che era l’obiettivo primario dello studio, l’associazione Ezetimibe/Simvastatina ha determinato una riduzione ulteriore del 6% rispetto alla sola Simvastatina”.
In conclusione, come fare perché i pazienti siano più consapevoli?
“La chiave è proprio nella parola consapevolezza. Nel nostro Paese, come in altri, a dire la verità, solo 1/3 dei pazienti nel primo anno dopo l’evento cardiovascolare raggiunge gli obiettivi suggeriti per il colesterolo LDL. E dopo un anno diventa 1/5. A tali risultati insoddisfacenti contribuisce anche una scarsa conoscenza da parte dei pazienti sugli obiettivi di colesterolo da raggiungere. Molti pazienti sanno quali valori di pressione o di glicemia non devono superare, quasi nessuno quale valore di LDL. La consapevolezza è una questione complessa: basti pensare che ci sono pazienti con infarto che continuano a fumare, non rendendosi conto che se la terapia farmacologica è indispensabile da sola non basta: è fondamentale associare anche uno stile di vita corretto, iniziando dallo smettere di fumare e poi seguendo quotidianamente una dieta sana e un’attività fisica moderata”.