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di Anna Pellizzone

Anche grazie alla determinazione di una giovanissima ragazza svedese, Greta Thunberg, ormai nota in tutto il mondo per il suo impegno in difesa del pianeta, i cambiamenti climatici sono tornati al centro del dibattito pubblico. Le evidenze scientifiche del clima che cambia, e del contributo antropico a questo mutamento, sono sempre più accurate, anche per quanto riguarda il suo impatto sulla salute

Quando pensiamo al climate change, molto probabilmente visualizziamo mutamenti nel paesaggio (come ghiacci che fondono, zone costiere alluvionate, avanzamento dei deserti), eventi estremi (uragani, siccità, caldo atipico, prosciugamento di riserve idriche), difficoltà connesse ad attività antropiche (dall’agricoltura al turismo sulla neve), migrazioni dovute a carestie in zone particolarmente vulnerabili del pianeta, cambiamenti nella distribuzione di specie vegetali e animali, e via dicendo.
Ma c’è un altro grande tema che è intrinsecamente connesso ai cambiamenti climatici, in modo complesso e articolato: quello della salute. Per i CDCs americani (Centers for Disease Control and Prevention), le conseguenze del clima che cambia sulla salute possono essere schematizzate in otto principali categorie, che comprendono impatti diretti (come l’effetto fisiologico dell’aumento delle temperature) e indiretti (come la riduzione dell’accesso a cibo e acqua sicuri):
1) episodi di caldo estremo, che possono causare malattie, e decessi, connessi al caldo;
2) eventi estremi, come siccità o piogge eccezionali, che possono avere come conseguenze incidenti di diverso tipo e provocare disturbi connessi alla salute mentale;
3) riduzione della disponibilità di acqua e cibo, che può provocare problemi di salute legati alla malnutrizione e a malattie intestinali come ad esempio la diarrea;
4) abbassamento della qualità dell’acqua, favorendo la diffusione di malattie come il colera;
5) degrado ambientale, con conseguenti migrazioni forzate, conflitti civili e disturbi mentali;
6) aumento degli allergeni e delle malattie respiratorie connesse, come allergie e asma;
7) mutamenti dell’ecologia dei vettori di malattie infettive quali malarie, dengue, encefaliti, chikungunya (una malattia che provoca febbri acute, di origine virale, trasmessa da zanzare infette) ecc;
8) inquinamento dell’aria, e quindi aumento del rischio di asma e di malattie cardiovascolari.
I settori che più contribuiscono all’emissione di gas serra nelle aree urbane sono il traffico (25%), l’industria, compresa la generazione di elettricità (15%) e il riscaldamento domestico (20%). Secondo le previsioni, entro il 2100, più di tre miliardi di anziani (sopra i 65 anni), una categoria vulnerabile di popolazione, saranno esposti a ondate di calore e circa 100 milioni di persone cadranno in povertà per via dei cambiamenti climatici. Secondo una stima, in realtà piuttosto ottimista, 250 mila persone in più moriranno a causa del clima che cambia tra il 2030 e il 2050, tra questi 38 mila anziani esposti al caldo, 48 mila di diarrea, 60 mila di malaria e 95 mila bambini per malnutrizione.
Incoraggiare nuovi modelli di sviluppo significa quindi tutelare la salute pubblica, e risparmiare. Le stime ci dicono che, se gli accordi della conferenza mondiale sul clima di Parigi, del 2015 venissero rispettati, si risparmierebbero, per una minore esposizione all’inquinamento atmosferico, circa un milione di vite entro il 2050 e il guadagno che ne deriverebbe, tradotto in termini economici, sarebbe doppio rispetto ai costi delle politiche messe in atto. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nella sola Regione Europea, che per l’OMS comprende anche la Russia e altri Paesi dell’ex URSS, gli accordi di Parigi risparmierebbero circa 138 mila decessi entro il 2030, con un risparmio in costi sanitari pari all’1-2 % del PIL dell’area (244-564 miliardi di dollari).
Ma vediamo di concentrarci sulle malattie cardiovascolari e partiamo proprio dalla qualità dell’aria.
Quando si parla di cambiamenti climatici, il collegamento con l’inquinamento atmosferico passa, certamente, attraverso il fatto che molti dei gas che derivano dalla combustione dei fossili e che provocano il surriscaldamento globale sono anche degli importanti inquinanti atmosferici, nocivi per la salute. Quello che è meno noto è che l’innalzamento della temperatura può portare non solo a un prolungamento della stagione calda e, quindi, dei pollini e delle allergie, ma anche a un aumento della stagnazione di alcuni inquinanti al livello del suolo, come l’ozono e/o il particolato.
L’inquinamento dell’aria, fuori e dentro le nostre abitazioni, è la seconda causa di morte per le malattie non trasmissibili ed è responsabile del 26% dei decessi per ischemia cardiaca e del 24% dei decessi per ictus (oltre che del 43% di quelli per malattie polmonari ostruttive croniche e del 29% di quelli per cancro al polmone).
Ma non è tutto. Recenti studi dimostrano che le ondate di calore, un fenomeno in crescita con i cambiamenti climatici, sono direttamente connesse alle malattie cardiovascolari e possono innescare una serie di condizioni di stress da calore, talvolta fatali, come il colpo di calore (heat stroke).
Il colpo di calore è l’esito più grave dell’impatto del caldo sul nostro organismo e si verifica quando il corpo perde la sua capacità di controllare la propria temperatura; se non si interviene in tempo, può causare il decesso, così come danni permanenti all’organismo, ad esempio per lo shock causato da un’improvvisa riduzione della pressione arteriosa. I soggetti più esposti a questo rischio sono i bambini piccoli, gli anziani e altri gruppi di popolazione, come i malati cronici, le persone con un basso reddito e le persone che lavorano all’aria aperta.
Secondo i CDCs americani, queste le strategie per mettersi al riparo dalle ondate di calore:
– mantenersi freschi: vestire con abiti adeguati (leggeri, chiari e ampi); stare in luoghi chiusi climatizzati; programmare attentamente le attività all’aperto; ridurre l’attività fisica durante il caldo; usare la crema solare; non lasciare i bambini in macchina; evitare cibi caldi e pesanti che contribuiscono ad accumulare calore nel nostro corpo;
– mantenersi idratati: bere molti liquidi, evitare bevande alcoliche e molto zuccherate, integrare con sali e minerali (sempre consultando il medico);
– mantenersi informati: controllare le allerte meteo, imparare a riconoscere i sintomi dei colpi di calore, monitorare le persone a rischio.
Uno studio statunitense ha rilevato come l’heat index (un indice calcolato sulla base del rapporto tra temperatura e umidità) sia alla base di molti casi di colpi di calore che si sono verificati in USA nelle stagioni calde. La ricerca, coordinata dall’US Occupational Safety and Health Administration (OSHA) e pubblicata sulla rivista «Morbidity and Mortality Weekly Report», ha dimostrato come valori termici superiori ai 32-33 gradi accompagnati da alti tassi di umidità possano aumentare in modo importante il rischio di morte per ictus.
Un gruppo di ricercatori tedeschi ha invece incrociato i dati prelevati da un registro di attacchi cardiaci (per un totale di 27310 eventi) avvenuti nei dintorni della città di Augsburg, in Germania, dal 1987 al 2014 con i dati meteorologici della stessa area. Nelle loro analisi, gli scienziati hanno tenuto conto di una serie di altre variabili, come quella socio-economica, e hanno diviso il periodo in due tranche: la prima, dal 1987 al 2000, e la seconda, dal 2001 al 2014, durante la quale si è registrato un aumento medio delle temperature giornaliere da 14.5 °C a 15.1° C. Guardando all’intero periodo, i ricercatori hanno confermato la già nota associazione tra attacchi cardiaci e freddo, ma guardando al periodo più caldo (dal 2001 al 2014), essi hanno dimostrato che anche le temperature più alte hanno portato a un aumento degli attacchi cardiaci, soprattutto tra persone con problemi pregressi di malattie cardiovascolari, diabete o colesterolo alto. «I nostri studi suggeriscono che le alte temperature dovrebbe essere prese maggiormente in considerazione come potenziale fattore per l’innesco di attacchi cardiaci, soprattutto in vista dei cambiamenti climatici», ha dichiarato in un comunicato stampa la leader della ricerca, l’epidemiologa Alexandra Schneider, del German Research Center for Environmental Health.
Un’affermazione particolarmente importante, soprattutto se si considera che le persone vulnerabili esposte a ondate di calore sono aumentate di 125 milioni dal 2000 al 2016. Durante la famosa ondata del 2003 che ha investito l’Europa, ad esempio, si è registrato un aumento di decessi pari a 70 mila unità.
Altrettanto significativi i risultati emersi da uno studio di 11 anni condotto in Burkina Faso, che ha dimostrato come l’esposizione a un caldo da moderato a estremo aumenti significativamente l’eccesso di mortalità giornaliera prematura per malattie non trasmissibili. Tra queste, la malattie cardiovascolari hanno causato un aumento del 50% degli anni di vita persi.

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