Read Time:3 Minute, 44 Second

L’infarto del miocardio è associato a una perdita delle facoltà cognitive? Secondo uno studio condotto dalla John Hopkins University e apparso su «JAMA Neurology» a maggio di quest’anno, la risposta è affermativa ma con dei distinguo. Ovvero, che al momento dell’evento cardiovascolare e subito dopo non si riscontrano segni incontrovertibili in tal senso, a distanza di anni invece sì. I ricercatori hanno indagato le due opzioni in una coorte composta da oltre 30 mila soggetti adulti. Tutti sono stati posti sotto osservazione prima che s’ammalassero di infarto del miocardio, di ictus o avessero dato segni di demenza cognitiva. A distanza di anni il tasso di declino cognitivo globale, così come quelli della memoria e della funzione esecutiva hanno subito un’accelerazione significativa negli adulti che si sono ammalati d’infarto del miocardio. A detta degli autori, questi risultati suggeriscono che la prevenzione dell’infarto diventa determinante per la salute del cervello con il passare degli anni. Non è chiaro quale sia il legame fra infarto e declino cognitivo a livello degli organi, ma escluderlo sembra un’ipotesi destinata a mutare. Forse è solo una questione di tempo.

Durante un attacco di cuore, o infarto del miocardio che dir si voglia, succede che l’afflusso di sangue al cuore diventa improvvisamente ridotto o interrotto, il che ha gravi conseguenze sul muscolo cardiaco, portandolo in necrosi per mancanza di ossigeno.  Secondo i Centri per il rilevamento delle malattie, negli Stati Uniti ogni anno circa 805 mila persone sono vittima di un infarto. Di questi, 605 mila sono al primo evento mentre e 200 mila sono, come minimo, al secondo.

Lo studio della John Hopkins ha arruolato adulti senza infarto del miocardio, demenza o ictus ricavandoli da sei studi di popolazione condotti negli Stati Uniti fra il 1971 al 2019. Dei 30˙465 adulti inclusi (età media 64 anni; 56% donne) 1˙033 hanno avuto 1 o più eventi di infarto e 29˙432 non ne hanno avuto nessuno.

Il principale risultato della nuova elaborazione è stato il cambiamento di passo che i soggetti hanno manifestato a riguardo della cognizione globale. Gli infartuati rispetto ai non hanno dimostrato un calo più rapido della cognizione globale (−0,15 punti all’anno), della memoria (−0,13 punti all’anno) e delle funzioni esecutive (-0,14 punti all’anno) negli anni successivi all’infarto rispetto alle misurazioni pregresse. Il follow-up mediano è stato di 6,4 anni.

L’analisi dell’interazione ha suggerito che la razza e il sesso hanno modificato il grado di cambiamento nel declino della cognizione globale, con una variazione minore nel declino negli anni successivi all’evento cardiaco. Il che s’è visto negli individui neri rispetto ai bianchi e nelle femmine rispetto ai maschi. Gli individui che hanno sperimentato più di un infarto erano tra i più anziani rispetto alla media e appartenevano in maggioranza al genere maschile. 

La donna come chiunque altro è bene che impari a diventare medico di sé stessa; nel farlo, deve sapere che, per quanto la riguarda, i sintomi tipici dell’infarto sono cinque: dolore alla mascella, respiro corto, dolore alla schiena, affaticamento senza motivo, nausea come dopo un’indigestione. Non solo un dolore al centro del petto con propaggini negli arti superiori, specie nel braccio sinistro, come accade nell’uomo ma con fitte molto più acute, tanto che spesso i medici tendono a sottostimare l’evidenza di questi sintomi nella donna.

Speriamo che i risultati di questo studio servano da sveglia alle persone, suggerendo di controllare più strenuamente i fattori di rischio vascolare come l’ipertensione e il colesterolo troppo alto, ricorrere a uno stile di vita sano, basato su scelte oculate sia a tavola sia durante il tempo libero, dove si spera che la lezione di fare più movimento sia ormai passata in giudicato, ha chiosato Michelle Johansen, professore associato di Neurologia presso la Johns Hopkins University School of Medicine e una delle curatrici dello studio. Anche risposare il giusto, rientra tra le strategie da mettere a punto per la prevenzione, prova ne è che soffrire d’insonnia significa esporsi a un rischio importante per il cuore. Una conclusione che trova d’accordo vari studi nel suggerire di arruolare d’urgenza la perdita di sonno fra i fattori di rischio cardiovascolare modificabili. A loro dire, il legame fra insonnia e infarto risiede nel cosiddetto ormone dello stress, il cortisolo, che aumenta di valore per la perdita delle ore di sonno e in caso di infarto.

Happy
Happy
0 %
Sad
Sad
0 %
Excited
Excited
0 %
Sleepy
Sleepy
0 %
Angry
Angry
0 %
Surprise
Surprise
0 %

Average Rating

5 Star
0%
4 Star
0%
3 Star
0%
2 Star
0%
1 Star
0%

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

AlphaOmega Captcha Classica  –  Enter Security Code