Manifesto di Psy.Co.Re (the Multidisciplinary Italian Network for Psychedelic and Consciousness Research), il gruppo di lavoro nato nel 2019 che si prefigge di creare contatti fra tutte le realtà che si occupano degli “stati altri di coscienza”.
A volte ritornano. Nel caso delle sostanze psichedeliche il ritorno sta avvenendo in pompa magna, al punto che si parla di nuovo rinascimento per l’LSD, la psilocibina e l’MDMA in riferimento al crescente numero di consumatori sparsi in tutto il mondo e al dichiarato interesse medico da parte di ricercatori sempre più numerosi e gallonati. Mentre la psilocibina è un allucinogeno naturale, ricavato da certi funghi con riconosciute proprietà psicotrope, l’LSD e l’MDMA (detta Ecstasy o Molly nell’uso ricreazionale) sono prodotti chimici messi a punto in laboratorio.
Si è cominciato a parlarne in seguito alla diffusione delle microdosi di LSD. Lo sdoganamento di questa sostanza è avvenuto in un luogo simbolo come la Silicon Valley. Qui i manager vi ricorrono dai tempi di Steve Jobs per essere più performanti nel reggere le sfide e la competizione lavorative. Grazie al basso dosaggio, chi ne fa uso sembra dare il meglio di sé in termini di concentrazione e creatività senza il timore di uscire dai ranghi della compostezza sociale e professionale.
In tutt’altro contesto, le sostanze vengono testate in ricerche scientifiche allo scopo di studiarne le reazioni contro alcuni importanti disturbi e malattie, con punte di eccellenza nel vecchio continente talora superiori a quanto accade negli USA. Chi se ne sta facendo carico è convinto che gli psichedelici possano fare molto per la cura di alcune forme di dipendenza, per superare traumi, per abbassare la soglia della paura e del dolore in caso di gravi malattie come quelle oncologiche o per lenire i disturbi dell’apparato muscolo scheletrico e cerebrale in chi è affetto da sindromi neuro degenerative come l’Alzheimer. E agendo da potenti coadiuvanti nella terapia psicanalitica. Il principio allucinogeno funzionerebbe su un punto preciso del cervello che fa da crocevia del pensiero cosciente. Agendo su quel preciso punto, la sostanza libera il pensiero dagli automatismi degli schemi logici, facendogli sperimentare nuove aggregazioni mentali che hanno tutta l’aria di rivelazioni imprevedibili fino a un minuto prima dell’assunzione.
Ragion per cui il proibizionismo contro gli psichedelici andrebbe rimosso a favore della libertà di ricerca, come ha dichiarato David Nutt, un eminente scienziato inglese, docente del prestigioso Imperial College di Londra, puntando piuttosto l’indice contro le cosiddette droghe legali, prime fra tutte l’alcol: «A voler essere prudenti, nell’ultimo mezzo secolo 150 milioni di persone sono morte a causa dell’alcolismo: se l’LSD avesse potuto aiutare solo il 10% di questi – ha ribadito di recente – coadiuvando il percorso di disintossicazione, si sarebbero potuti evitare circa 15 milioni di morti».
In attesa che si mettano d’accordo sul da farsi per consentire o meno alla ricerca di smettere di scontrarsi contro le pastoie burocratiche per superare i mille (e costosi) divieti frutto della messa all’indice degli psichedelici per ogni tipo di uso, c’è anche chi si chiede e studia se l’LSD e gli altri psichedelici rappresentino un pericolo per il cuore e per il resto dell’apparato cardiovascolare, e se sì, di che entità. Seguendo questo filone di ricerca, “Prevenzione Cardiovascolare” s’è imbattuto in uno studio, pubblicato sul numero di novembre di “Neuropharmacology”, in cui si dà conto di una ricerca in fase 2 finalizzata a testare le conseguenze cardiovascolari di due psichedelici (LSD e MDMA) e una sostanza anfetaminica (D-amphetamine). Lo studio è uno dei pochi reperibili sull’argomento. Da sempre queste sostanze sono anticipate da una nomea basata su conseguenze ben più letali e scoraggianti, frutto del divieto risalente agli ormai lontani anni Sessanta, quando il governo americano per primo, intervenendo contro di esse, ha cercato di fermare la contestazione politica di quegli anni che aveva eletto LSD a droga simbolo della rivoluzione culturale in atto. Molti fra i pacifisti schierati contro la guerra del Vietnam assumevano LSD. Per contrastare questa e altre simili prese di posizioni politiche intese a destabilizzare l’ordine e il sistema costituito, Nixon e il suo establishment, servendosi dei media, hanno etichettato LSD come la droga del “bad trip” in cui le allucinazioni incontrollate che sfociano nell’autolesionismo e nella violenza conto terzi, così come l’uscita di senno senza più possibilità di ritorno, sono la regola. Oggi sappiamo che è vero piuttosto il contrario, e cioè che il “bad trip” è raro e tutt’altro che pericoloso se l’LSD viene assunto sotto controllo medico. Tuttavia la nomea del “bad trip” è ancora quella corrente. Non stupisce allora se su tre cardiologi che abbiamo interpellato per avere ragguagli sulle conseguenze più evidenti degli psichedelici su cuore e arterie, nessuno abbia voluto sbilanciarsi, preferendo trincerarsi dietro un onesto quanto laconico «mi spiace, non ne so nulla».
Dunque cosa hanno fatto all’università di Ginevra (Svizzera) con le dosi di LSD, di MDMA e di D-amphetamine, consapevoli del fatto che si trattava di sostanze utilizzate sia per scopo ricreazionale sia per scopi medici? LSD e MDMA sono stati menzionati come coadiuvanti nelle sedute psicoterapiche, la D-amphetamine come stimolante per curare i deficit dell’attenzione e le sindromi da iperattività. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione dalle autorità competenti (Swiss Federal Office for Public Health), hanno somministrato dosi ordinarie dei due psichedelici e dell’anfetamina, randomizzandole in doppio cieco con una sostanza placebo, a due gruppi di pazienti, 28 in tutto, 14 uomini e 14 donne d’età compresa fra 25 e 45 anni. Caratteristiche comuni di questi pazienti, che fra loro non ci fossero donne incinte, soggetti con storie personali o familiari di disturbi psichici, nessuno che assumesse farmaci controindicati con i principi attivi delle sostanze testate, nessuno che fosse affetto da alcun tipo di malattia cronica, escludendo infine i fumatori e coloro che facessero uso abituale di alcun tipo di sostanza psicotropa nel tempo libero. Insomma, soggetti perfettamente sani, privi dei cosiddetti vizi e nel pieno del vigore dell’esistenza. Risultato, in quasi tutti i soggetti si sono registrate impennate della pressione sistolica (>140 mmHg) ma più a seguito dell’anfetamina che dell’MDMA e dell’LSD (e del placebo) tanto da concludere che solo l’anfetamina comporta un rischio degno di nota per la pressione arteriosa, mentre LSD e MDMA favorirebbero attacchi di tachicardia più netti, per picco massimo e durata. Il che potrebbe portare a concludere che se la pressione arteriosa non fa scherzi, LSD e MDMA sono compatibili con un cuore sano.
Sappiamo di un altro studio, risalente al 2004, in cui s’è scoperto che l’uso ricreazionale dell’MDMA, al pari di un derivato anfetaminico conosciuto con il nome fenfluramina, un inibitore della serotonina che all’epoca veniva utilizzato nelle diete (oggi la sostanza è vietata), può compromettere l’efficienza delle valvole cardiache fino a impedire il normale funzionamento delle stesse e fino a sfociare nella malattia più grave conosciuta con il nome di insufficienza cardiaca.
Tuttavia l’uso ricreazionale è diverso da quello medico. Nel primo si presuppone una continuità soggettiva, nel secondo, invece, la letteratura sull’argomento sta dimostrando che bastano poche sedute con gli psichedelici per ottenere ottimi risultati da un punto di vista medico. Non è necessario “strafarsi” di psichedelici per venire a capo del problema fisico o mentale che si sta curando. Inoltre, gli psichedelici non danno alcun tipo di assuefazione fisica. Tutti elementi che sembrano giocare a favore degli psichedelici. Quanto meno, che su di essi si arrivi finalmente alla libertà di ricerca. Che è quanto auspicano da più parti. Anche Michael Pollan, nel suo ultimo libro (“Come cambiare la tua mente“, Adelphi 2019), si è detto favorevole. Dopo aver intervistato, fra America ed Europa, chi a vario titolo si occupa di psichedelici, e dopo averli provati egli stesso in prima persona, la conclusione del noto giornalista scientifico statunitense è stata che i benefici che queste sostanze possono portare alla medicina sono di gran lunga maggiori dei rischi, per cui è ora che i governi, sentiti i pareri delle autorità competenti, diano il via libera quanto meno alla ricerca. A detta di altri, l’uso medico deve andare in parallelo con quello ricreazionale, sul modello di quanto avvenuto per la cannabis. Se è vero come sembra che la sostanza ha dei benefici medici, non c’è ragione di vietarne l’uso ricreazionale, a patto che si raccomandi di mantenersi entro certi limiti. Proprio come avviene per molte altre sostanze, prima fra tutte l’alcol. Un cardiologo difficilmente è disposto ad ammettere che l’alcol sia dannoso, giacché ci sono studi che dimostrano che, se assunto in modiche quantità, può essere perfino efficace contro lo stress ossidativo e i radicali liberi.