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Nell’ambito della conferenza che si è tenuta a Roma il 25 novembre scorso, avente per oggetto le malattie rare, abbiamo intervistato il Prof. Giuseppe Limongelli, Responsabile del Centro di Coordinamento Malattie Rare Regione Campania.

Prof. Limongelli, lei è responsabile di tutte le malattie rare o solo di quelle cardiovascolari?  Di che cosa si occupa in concreto?
«Sì, io sono il responsabile del Centro di Coordinamento Materiale della Regione Campania. Ogni regione ha un Centro di Coordinamento che ha una serie di funzioni che recentemente sono state definite dal Piano Nazionale Materiale 2023-2026. Ogni Centro di Coordinamento ha un help-line: un centro di ascolto per pazienti, associazioni, sanitari, farmacisti, ovvero tutti coloro che affacciano problematiche. Nel campo delle malattie rare è previsto anche un help-desk che gestisce il Registro Malattie Rare. Quest’ultimo raccoglie tutti i dati regionali riguardanti le diagnosi certificate di pazienti con malattie rare e tributario del cosiddetto Registro Nazionale che si trova presso il Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità».

Personalmente conservo ancora un ricordo indelebile di quanto è successo in campo al giocatore di calcio danese Eriksen, in occasione dei penultimi europei poi vinti dall’Italia, nel 2021. Il suo accasciarsi a terra e poi l’uscita dal campo quasi sulle sue gambe. Nel caso di Eriksen fu decisivo il soccorso immediato che gli prestò un suo compagno di squadra della nazionale danese, che impedì che si soffocasse con la lingua e poi l’intervento dei sanitari con il defibrillatore, a ricondurre i battiti cardiaci a un ritmo regolare, tale da impedire quella che sarebbe stata derubricata come una “morte improvvisa”, probabilmente. Lei che ricordo conserva?
«Beh, in realtà non è andata proprio così. Eriksen ha avuto sicuramente un arresto cardiaco, prontamente rianimato grazie alla presenza del defibrillatore. Sono state fatte diverse ipotesi, si è parlato di una miocardite, si è parlato di una cardiomiopatia, ovvero una malattia del muscolo cardiaco, si è parlato di una sindrome aritmica ereditaria, quale la sindrome di Brugada, tachicardia ventricolare catecolaminergica, in cui vi è un eccesso di catecolamine che può determinare delle aritmie ventricolari, quindi che partono dal ventricolo sinistro. Bene, la diagnosi definitiva non è mai emersa, ma sicuramente ad Eriksen, dopo questa aritmia, è stato impiantato un defibrillatore che gli ha permesso di giocare ancora ma in campionati diverso dal nostro. La legge italiana in materia di accesso all’attività sportiva agonistica è tra le più protettive nei confronti degli sportivi. Una legge della medicina dello sport che è forse tra le più avanzate rispetto a tutti gli altri paesi, grazie alla quale vengono fatte tutta una serie di valutazioni preliminari sugli atleti, tra cui l’elettrocardiogramma. Sebbene sembri qualcosa di scontato, l’elettrocardiogramma non è previsto in molti ordinamenti sportivi diversi dal nostro».  

Che incidenza hanno le malattie rare cardiovascolari nella popolazione?
«Oggi quando parliamo di malattie rare e di morte improvvisa parliamo essenzialmente di un gruppo di patologie che possono interessare il muscolo cardiaco, le cosiddette cardiomiopatie l’ipertrofica, la dilatativa, la cardiopatia aritmogena del ventricolo destro, del ventricolo sinistro, la cardiomiopatia restrittiva. Così come di sindromi ereditarie come quella del QT-lungo, del QT-corto, sindrome di Brugada, e la tachicardia ventricolare catecolaminergica. E ancora, condizioni in cui l’aorta può essere dilatata come per la sindrome di Marfan o per sindromi simili, che possono portare ad una debolezza della parete aortica geneticamente determinata. Inoltre, esistono delle condizioni non genetiche, in cui le anomalie coronariche possono avere una alterazione dalla nascita o che si sviluppano durante il decorso. In entrambi i casi le anomalie coronariche possono portare, in età adolescenziale o in un giovane/adulto, ad un rischio maggiore di avere, sotto sforzo, un arresto cardiaco quale causa di morte improvvisa».

A chi riscontrano una malattia rara, quale iter sanitario si profila?
«Se c’è il sospetto di una malattia cardiaca ereditaria o rara, è bene che il paziente venga valutato in un centro di riferimento dove potrà fare una valutazione completa elettrocardiografica ed ecocardiografica ricorrendo a tecniche di imaging tra le più avanzate come la risonanza, che è un esame fondamentale. Ma non dimentichiamoci che sono i dati familiari che contano. Molto spesso nelle famiglie ci può essere una patologia rara, quindi un altro soggetto affetto, o ci possono essere uno o più casi di morte improvvisa nella stessa famiglia, o casi di scompenso o di trapianto cardiaco. Sono tutti eventi sentinella che dobbiamo considerare sempre. L’altro elemento e l’altro strumento potentissimo a nostra disposizione oggi è l’indagine genetica. Oggi le tecniche genetiche sono sempre più precise. È possibile, grazie a dalle tecniche avanzate, fare un’ampia diagnosi o talora continuare con esami più completi come l’esoma clinico. Gli uni e gli altri ci permettono di identificare o di escludere una malattia cardiovascolare ereditaria. Voglio ricordare che esistono condizioni non ereditarie nel caso delle cardiomiopatie, ad esempio per l’amiloidosi cardiaca, che oggi rappresenta quasi il 15% dei casi di scompenso cardiaco. L’amiloidosi è una condizione che va distinta dallo scompenso cardiaco; se la trattiamo con gli stessi farmaci non risponderà, ma oggi ci sono dei farmaci specifici per questa patologia. Recentemente, grazie alla Rete italiana dell’amiloidosi cardiaca, è stato proposto un PDTA nazionale per questa specifica patologia. Lo stesso vale o può valere, ad esempio, per le aortopatie: una dilatazione dell’aorta può dipendere da una sindrome ereditaria con la sindrome di Marfan o da quella di Loyes-Dietz, ma può dipendere anche da una condizione più comune come la bicuspidia aortica, un’anomalia valvolare congenita ma che in molti casi non è familiare, quindi non ha una ricorrenza nella stessa famiglia. In questo caso esiste chiaramente un decorso clinico diverso e anche un approccio specifico e differente da parte dei chirurghi per questa patologia rispetto a come viene affrontata la sindrome di Marfan».

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