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Andiamo con ordine. A giugno di quest’anno  l’Articolo 18 del DDL Sicurezza emanato dal Governo italiano ha vietato la commercializzazione delle infiorescenze e del CBD della canapa. Allineando queste due sostanze al THC (ovvero all’unico composto della canapa che ha effetti psicotropi) di fatto si vieta l’uso della canapa per fini medici, essendo le infiorescenze e il cannabidiolo (CBD) gli elementi di base delle sostanze derivate dalla canapa e proposte a scopo curativo. Ma alla luce della sentenza  del 3 ottobre 2024 della Corte di Giustizia Europea sulla Canapa Industriale, l’articolo 18 dovrà essere riconsiderato, essendo in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, in quanto non vi è alcuna evidenzia scientifica che lo giustifichi. Ovvero, non è emersa nessuna nuova prova che trasformi il CBD in una sostanza dagli effetti psicotropi.

«Questa sentenza rafforza la necessità di basare le politiche nazionali su dati scientifici e sul rispetto delle normative europeesi legge in un comunicato stampa post sentenza della Corte di Giustizia Europea, per bocca diMattia Cusani, Presidente dell’Associazione Nazionale Canapa Sativa Italia – Invitiamo il governo italiano a riconsiderare le misure proposte nell’Articolo 18, per evitare di danneggiare un settore strategico per l’economia nazionale».

Per ora è noto che il CBD ha, tra gli altri, importanti effetti antinfiammatori in grado di rallentare la comparsa di malattie del metabolismo come il diabete e le complicazioni a livello cardiovascolare. Che è quanto è emerso dallo studio SONIC in corso, del quale si è parlato  durante l’84° sessione scientifica annuale dell’American Diabetes Association del 2024.

Nello studio SONIC, il gruppo di intervento era composto da dei consumatori abituali di cannabis con un’età media di 30 anni e un indice di massa corporea (BMI) nella fascia sana. L’86% di costoro erano individui bianchi e il 59% erano uomini. Sono stati abbinati a un gruppo di controllo delle medesime caratteristiche e proporzioni ma i cui membri non avevano fatto uso di cannabis da almeno un anno.

Dopo 4 settimane è emersa una “netta differenza” tra utilizzatori e non utilizzatori, con gli utilizzatori che hanno mostrato livelli significativamente più bassi di biomarcatori infiammatori e citochine circolanti rispetto ai non utilizzatori.

Un’eccezione sono stati i livelli di MCP-1 che sono aumentati nel tempo negli utilizzatori di cannabis ma non sono cambiati nei non utilizzatori. Una scoperta che è stata definita “anomala”, soprattutto considerando che i livelli di MCP-1 sono normalmente associati al diabete.

In uno studio precedente, gli stessi ricercatori avevano esaminato gli effetti acuti della cannabis disponibile sul mercato legale sulle risposte soggettive dei consumatori abituali durante la corsa, scoprendo che l’uso di cannabis prima dell’esercizio fisico spinge i fruitori a maggiori sforzi che però non alleviano la stanchezza. «Questi effetti positivi potrebbero rendere lo jogging (e l’esercizio fisico in generale, ndr) più attraente per le persone – comprese quelle con o a rischio di diabete – che altrimenti potrebbero non praticarlo», ha suggerito la ricercatrice che ha presentato lo studio.

Per quanto riguarda uno dei limiti dello studio SONIC, gli autori hanno riconosciuto che lo studio è stato condotto con un campione di individui che facevano parecchio esercizio fisico, una cosa che potrebbe aver influito sui risultati, in particolare sulla sensibilità all’insulina.

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