di Alberto Ferrari
Un infarto pone fine alla vita del marito di Emma e al romanzo omonimo, “Madame Bovary”. Quando scopre i continui tradimenti della moglie ormai morta, il dottor Charles Bovary ci resta secco. È solo, sulla panchina, su cui si abbandona dopo aver scoperto la corrispondenza segreta della moglie
Si racconta che a chi, stupito, gli chiedeva come diavolo avesse fatto a dipingere così intimamente i pensieri e gli stati d’animo della sua eroina, Gustave Flaubert rispondeva sibillino: “Madame Bovary c’est moi”. Il che la dice la lunga sull’immedesimazione totale dell’autore con il personaggio femminile. Una boutade che deve aver fatto scuola in letteratura, visto che il premio Nobel Mario Vargas Llosa, si considera un flaubertiano nel metodo, nel senso che anche lui predilige, per così dire, l’andare sottopelle ai personaggi, alfine di renderne il punto di vista senza l’ingombrante filtro di sé come autore e uomo del proprio tempo. Tuttavia, come è noto, un vero Monsieur Bovary è realmente esistito, sia pure nella finzione romanzesca, ovvero l’ignaro marito di Emma, il dottor Charles Bovary. Tant’è che “Monsiuer Bovary c’est moi”, avrebbe potuto ben dire ancora Flaubert, se opportunamente sollecitato da qualche altro lettore impertinente, per dare conto del non meno raffinato lavoro di caratterizzazione psicologica del protagonista maschile del suo più celebre romanzo.
Charles è un bonario medico di campagna che ha a cuore il proprio lavoro e la famiglia, ovvero la moglie Emma e la figlia Berthe. Sul piano affettivo, è rappresentato come il tipo incapace non solo di tradire la consorte, ma neppure di ipotizzare il tradimento come desiderio latente in ogni uomo, figurarsi in una donna, nella sua adorata moglie! Charles sembra non avere altro orizzonte sentimentale e sessuale fuori da quello coniugale.
Di tutt’altra pasta la povera Emma. Votata a una vita sentimentalmente piena, si stuferà presto di quel marito incapace di sedurla, di quel medico di campagna a proprio agio in mezzo ai bifolchi, di quell’uomo corpulento dal fare mellifluo, dall’aria trasandata, dall’appetito abbondante, sorridente e gioviale anche quando lei gliela faceva sotto il naso, anche quando lo maltrattava in preda a qualcuno dei suoi scatti di nervi senza controllo, anche quando si imbizzarriva come il cavallo sotto la sferza del cocchiere, perché qualcuno dei suoi giovani e sfrontati amanti si prendeva gioco di lei, facendola arrabbiare e immalinconire.
Sappiamo come la storia finisce. Emma è infelice, il suo sogno romantico è destinato a rimanere frustrato e poi ci sono i debiti fatti per star dietro alla bella vita, così decide di suicidarsi. Di fronte all’evidenza il marito è incredulo. Ipotizza un malessere profondo, di diversa origine, finché il caso non gli metterà sotto il naso la corrispondenza segreta di Emma. Solo dopo aver letto la corrispondenza degli amanti si rende conto.
Il giorno dopo lo seguiamo avanzare mestamente fino alla panchina in giardino. E qui, seduto come sull’orlo di un precipizio, la consapevolezza dell’accaduto gli rovina addosso con tutto il suo peso. Prende coscienza su chi fosse veramente sua moglie, quali fossero i demoni della lussuria che la possedevano, i suoi sogni romantici.
Ma ora la parola a Monsieur Flaubert: “Il giorno dopo Charles andò a sedersi sulla panchina sotto la pergola. Raggi di sole filtravano attraverso la ramaglia, i pampini disegnavano ombre sulla sabbia, il gelsomino sprigionava il suo profumo, il cielo era azzurro, le cantaridi ronzavano intorno ai gigli in fiore, e lui soffocava come un adolescente ai vaghi effluvi amorosi che gli gonfiavano il cuore straziato.
Alle sette la piccola Berthe, che non lo vedeva da tutto il pomeriggio, andò a chiamarlo per la cena. Aveva la testa riversa contro il muro, gli occhi chiusi, la bocca spalancata, stringeva fra i capelli una lunga ciocca di capelli neri.
– Ma vieni, su, papa! – disse la bambina.
E, credendo che fingesse di giocare, lo spinse dolcemente.
Cadde a terra. Era morto.” Verosimilmente, un infarto.
di Alberto Ferrari