Perché il cuore smette di battere? Di solito quando succede l’evento è riconducibile o ad arresto cardiaco o infarto. Nel primo caso si verifica l’improvvisa e completa interruzione dell’attività di tutto il cuore e la conseguente interruzione di circolo nell’intero organismo. In caso di infarto, invece, si evidenzia la presenza di un danno provocato solo ad una porzione del cuore a causa dell’occlusione di un’arteria che porta il sangue al tessuto muscolare cardiaco. È proprio l’occlusione a causare l’interruzione del flusso sanguigno e dell’apporto di ossigeno provocando la disfunzione o la morte di una parte del tessuto cardiaco. La persona colpita da infarto è di solito cosciente e avverte sintomi tipici. L’infarto può però diventare causa di arresto cardiaco. Secondo le stime disponibili, infatti, circa il 70% degli arresti cardiaci presenta un infarto del miocardio sottostante. L’arresto cardiaco riconosce dei fattori di rischio ben precisi, come l’età. Negli uomini il rischio si eleva dopo i 45 anni mentre dopo i 50 anni lo stesso rischio si riscontra in uomini e donne.
Altri importanti fattori di rischio sono l’ipertensione, l’obesità, l’alterazione dei livelli ematici di colesterolo e trigliceridi, il diabete, l’aterosclerosi, il vizio del fumo, condurre una vita stressata e disordinata, aver avuto un infarto, soffrire di patologie come la cardiomiopatia dilatativa, sviluppare uno scompenso cardiaco, evidenziare un’elevata frequenza cardiaca a riposo. L’arresto cardiaco, infine, può seguire a uno sforzo intenso, a forti emozioni o a un evento particolarmente stressante. Oltre a questi che sono fattori di rischio tradizionali, ve ne sono altri classificati come emergenti primo fra tutti l’inquinamento atmosferico. A quest’ultimo in particolare, sono associati il 18% dei decessi per malattie cardiovascolari in Europa. Secondo l’Agenzia Europea dell’ambiente (AEA) tale percentuale è sottostimata mentre molteplici studi confermano le malattie cardiache e l’ictus quali cause più comuni di morti prevenibili attribuibili all’esposizione all’inquinamento atmosferico, seguite da malattie polmonari e cancro del polmone. L’AEA ha recentemente diffuso il rapporto “Health impacts of air pollution in Europe, 2022” relativo al 2020: in Europa si sono registrate 310˙474 morti premature per l’inquinamento atmosferico, di queste 237˙810 sono attribuibili al particolato fine (PM2.5), 48˙555 al biossido di azoto (NO2)e 23˙109 all’ozono. In Italia nello stesso anno si sono registrati 68˙538 decessi, di cui 52˙303 per PM2.5, 11˙158 per NO2 e 5˙077 attribuibili all’ozono. In questo contesto è opinione condivisa che ridurre i rischi ambientali sia fondamentale per ridurre il carico delle malattie cardiovascolari in Europa.
Anche uno studio condotto di recente da ricercatori della Cardiologia di Piacenza in collaborazione con studiosi della Cardiologia dell’Università di Parma si è focalizzato sul rapporto tra inquinamento atmosferico e rischio di arresto cardiaco. Lo studio si è concentrato su un’area urbana altamente inquinata nel nord Italia caratterizzata da una importante presenza di defibrillatori automatizzati esterni, i Dae, a disposizione della cittadinanza. Sono stati analizzati i dati messi a disposizione dal “Progetto Vita” raccolti da gennaio 2010 a dicembre 2017 che sono stati messi in relazione con i livelli di inquinamento atmosferico giornaliero estratti dalle stazioni dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente Arpa con misurazioni dei livelli di Pm 2,5 e 10, ozono, monossido di carbonio e biossido di azoto. Dall’analisi di questa mole di dati è emerso come in 748 giorni si sono verificati un totale di 880 arresti cardiaci; in media più di uno al giorno. È stato possibile dimostrare in maniera staticamente rilevante che esiste un collegamento tra l’aumento significativo del rischio di arresto cardiaco con il progressivo aumento dei livelli di inquinanti atmosferici. Nell’ambito del piano d’azione stabilito con il Green Deal, la Commissione europea ha fissato, tra gli altri, l’obiettivo di ridurre il numero di morti premature causate dal PM2,5 di almeno il 55% entro il 2030, rispetto al 2005.
Per favorire il raggiungimento degli obbiettivi stabiliti nel Green Deal e allineare gli standard di qualità dell’aria alle ultime raccomandazioni dell’OMS, la Commissione europea ha avviato una revisione delle direttive sulla qualità dell’aria che ha di recente avuto il via libera da parte del Parlamento Ue ed è pronto ora a passare al vaglio del Consiglio. Con 363 voti a favore, 226 contro e 46 astensioni l’Eurocamera, mercoledì 13 settembre 2023, ha infatti dato la sua approvazione ai limiti più stringenti sulla qualità dell’aria proposti nella nuova direttiva, posticipando però l’adozione dei valori limite di cinque anni, quindi al 2035.