di Cristina Mazzantini
Guarire dal cancro per morire d’infarto è paradossale.Eppure succede più spesso di quanto si possa immaginare.Per evitare, o ridurre il più possibile il rischio, da qualche anno in Italia esiste una nuova disciplina: la cardio-oncologia.Ovvero diagnosi, prevenzione e trattamento delle complicanze cardiovascolari delle terapie antitumorali
L’accesso ai trattamenti anticancro è in continuo aumento. In Italia, negli ultimi 5 anni, tale accesso ha avuto una crescita del 17% che ha portato a 3 milioni i pazienti che si rivolgono ai centri di cura e agli ospedali oncologici. Il rovescio della medaglia, per così dire, è che le complicanze cardiovascolari sono all’ordine del giorno per questi pazienti, messi a dura prova da cure mediche, interventi chirurgici e terapie farmacologiche assai debilitanti.
Ciò detto, non stupisce che un’intera sezione del XVII Congresso Nazionale dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), tenutosi di recente a Roma, sia stata dedicata alla cardio-oncologia. Nella sua relazione la dottoressa Stefania Gori, neo-presidente eletto, ha puntualizzato punti di forza e criticità della nuova disciplina: «Sono circa 3 milioni i malati di cancro che a oggi possono dichiarare vinta la battaglia contro il cancro. A fronte di questa vittoria, però, c’è sicuramente un prezzo alto da pagare per la salute del cuore. In uno studio recente sulle cause di decesso di 1.807 sopravvissuti al cancro, con un follow-up di 7 anni, si è evidenziato che il 33% moriva per disturbi cardiaci».
Grazie ai progressi nella diagnosi precoce, e soprattutto ai sostanziali miglioramenti nella terapia, c’è stato un prolungamento notevole della vita dei pazienti oncologici. Ricordiamo che quasi tutti i tumori oggi possono essere curati: la sopravvivenza oltre i 5-10 anni è un traguardo evidente in molti tipi di neoplasia.
La chemioterapia, le terapie biologiche e la radioterapia possono provocare complicanze a breve o lungo termine e favorire nei pazienti lo sviluppo di una serie di effetti collaterali cardiovascolari: scompenso cardiaco, infarto miocardico, tromboembolismo, aritmie, ipertensione. ‹‹I numeri parlano chiaro: un paziente su tre muore a causa di malattie cardiache provocate dalle cure farmacologiche o radioterapiche, a seguito del tumore».
Oltre ai progressi diagnostici e farmacologici esistono altri fattori che possono incidere sull’aumentato rischio cardiologico? «Direi di sì», ha risposto l’esperta. «Basti pensare al costante invecchiamento della popolazione che comporta un numero sempre maggiore di persone con diagnosi di tumore e fattori di rischio cardiovascolari (ipercolesterolemia, dislipidemia, diabete, ipertensione arteriosa) o cardiopatie già presenti». Ma dov’è il problema? «Spesso gli oncologi sono concentrati a eliminare il cancro e non riconoscono, invece, gli eventuali rischi cardiaci che quindi non sono adeguatamente trattati». Allora che cosa succede? «Va detto che le complicanze cardiovascolari possono rappresentare un crescente problema, tanto da poter vanificare l’esito della terapia», ha spiegato la nostra oncologa. «È necessario che oncologi e cardiologi collaborino insieme sin dall’inizio, così da garantire al paziente un trattamento di successo grazie a un’accurata valutazione del profilo di rischio, anche cardiologico, e un attento monitoraggio del malato stesso».
Dunque all’aumento dei tassi di guarigione e al prolungamento della sopravvivenza nei malati di tumore si può associare l’emergere di complicanze cardiovascolari anche dopo anni. Per questo motivo è bene ricordare che i farmaci contro il tumore sono delle terapie salvavita necessarie ma che determinano inevitabili effetti collaterali, anche pesanti. Come ha sottolineato l’oncologa: «Alcuni trattamenti possono avere ripercussioni non solo sul cuore, ma su tutto l’apparato circolatorio: la trombosi, per esempio, è la seconda causa di morte del paziente con tumore». Attenzione, però! Curare il tumore non vuol dire rischiare, un giorno, la vita a causa del cuore.
Infatti il problema della cardiotossicità dei trattamenti antitumorali non va enfatizzato, ma nemmeno sottovalutato, ha dichiarato la dottoressa Gori citando in proposito uno studio statunitense. Condotto su bambini oncologici, a circa 20 anni dai trattamenti si sono rivelati problemi cardiovascolari rilevanti, sette volte superiori all’incidenza nella popolazione normale. Dai bambini lungo-sopravviventi è emerso che la cardiotossicità dei farmaci neoplastici, anche quelli di ultima generazione, non ha un limite “temporale” nella sua manifestazione, tanto da rendersi evidente anche molti anni dopo. Per cui è necessario curare in sicurezza il cuore. Come? «È opportuno scoprire in fase preclinica un’eventuale cardiotossicità dei farmaci anticancro, così da prevenirla e guarirla, se diagnosticata precocemente», ha puntualizzato la nostra esperta, commentando i risultati di uno studio su oltre 200 pazienti con cardiotossicità da antracicline (potenti chemioterapici ancora molto usati e con possibili effetti negativi sul cuore, ndr).
«I risultati parlano chiaro. S’è visto che con l’utilizzo precoce di farmaci cardiprotettori, come gli Ace inibitori e i betabloccanti, nei primi 3 mesi di insorgenza dei segni o sintomi di danno funzionale al muscolo cardiaco si è in grado di arrestare o addirittura di far regredire il danno». Com’è possibile intercettare il rischio cardiovascolare? «Il modo più semplice per farlo è sottoporsi a una consulenza cardiologica clinica e strumentale, al momento della diagnosi di tumore e comunque prima di intraprendere la terapia, così da poterla scegliere e adattare in base alla condizione cardiovascolare del singolo caso. Solo così, il trattamento avrà la massima efficacia anticancro, unita a un minimo impatto cardiaco».
I malati neoplastici, ma vale per tutti, non devono fare attenzione solo ai farmaci e alle terapie anticancro per mantenere il cuore in salute, ma devono anche osservare uno stile di vita sano, smettendo di fumare, curando l’alimentazione e facendo quotidianamente una regolare attività fisica. La dottoressa Gori ritiene che l’alimentazione sia fondamentale per contrastare gli effetti cardiotossici di chemioterapia e di cure biologiche, ma anche per migliorare la prognosi della malattia neoplastica.
Le regole per una dieta antitumorale sono poche: bisogna limitare o abolire carne rossa, zuccheri e dolci, senza restrizioni particolari su tutte le altre classi di alimenti. I tanto demonizzati latticini, per esempio, non devono essere eliminati del tutto né è necessario diventare vegani: non esiste alcuna prova scientifica chiara di eventuali vantaggi. In più, si tratta di un regime alimentare difficile da seguire con costanza e anche complicato da gestire, perché sia equilibrato in termini di nutrienti necessari. Ma non solo. È anche fondamentale pensare a un programma di esercizio fisico adeguato: il movimento è obbligatorio, perché riduce gli effetti collaterali delle terapie anticancro, diminuisce il rischio medio-alto di malattie cardiovascolari in tutti i pazienti con tumore e abbassa la probabilità di recidive tumorali.