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Gli studi a disposizione hanno evidenziato come il contatto e l’esposizione ai cosiddetti PFAS, sostanze perfluoroalchiliche, determina un aumento di rischio di sviluppare numerose malattie, da quelle endocrine a quelle cardio e cerebrovascolari. Nel 2023 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’OMS di Lione (IARC) ha dichiarato alcuni PFAS cancerogeni certi per l’uomo, con effetti meno certi, ma più che probabili per quanto riguarda i tumori dei reni e quelli dei testicoli. Uno studio del 2023 condotto in collaborazione dall’Università di Padova e dall’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr ha rivelato che i PFAS in virtù delle loro proprietà ossidanti sono in grado di determinare un aumento dei radicali liberi dell’ossigeno nelle cellule del cortico surrene con un aumento della prevalenza di ipertensione, fattore di rischio per lo sviluppo di patologie cardiovascolari. La produzione di PFAS, vista la loro pericolosità per la salute è stata bandita negli USA, ma è tuttora ammessa nell’EU.

I PFAS rappresentato una grande famiglia di composti di sintesi, contenenti legami di carbonio-fluoro la cui presenza assicura loro una grande resistenza al calore, all’acqua, agli oli e agli agenti chimici. Ecco perché queste sostanze sono state ampiamente utilizzate in vari settori industriali permettendo l’ottenimento di prodotti impermeabili, di imballaggi alimentari e di prodotti per la produzione di schiuma antincendio. Vista la loro grande distribuzione in molti prodotti di uso comune non c’è da stupirsi che i PFAS possano ritrovarsi in concentrazioni più o meno alte nelle risorse idriche e nel terreno, soprattutto nelle regioni a più alta industrializzazione. Non a caso nel 2013 è stata scoperta una vasta area contaminata da PFAS che comprende superficie, suolo e acqua potabile di tre province del Veneto. L’area individuata comprende almeno 30 comuni con una popolazione di circa 150.000 abitanti (la cosiddetta Area Rossa). Dopo la scoperta di quest’area, la Regione Veneto ha attivato molti interventi di contenimento di tipo ambientale, con l’applicazione di filtri sulle acque per uso umano, e di tipo sanitario, con l’avvio del Piano di Sorveglianza Sanitaria. Nel 2020 la Regione Veneto ha affidato all’impresa sociale Epidemiologia e Prevenzione (ente no-profit del terzo settore) la fattibilità di indagini epidemiologiche sulla popolazione residente che hanno previsto il coinvolgimento attivo della cittadinanza. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova coordinato da Annibale Biggeri, docente del Dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e Sanità pubblica dell’Università di Padova, in collaborazione con il Registro Tumori dell’Emilia-Romagna, il Servizio Statistico dell’Istituto Superiore di Sanità e con il contributo di Citizen science del gruppo Mamme NO PFAS ha condotto uno studio che è riuscito a dimostrare formalmente un’associazione tra esposizione a PFAS e mortalità per malattie cardiovascolari, mettendo in evidenza anche la correlazione tra cancro del rene e cancro ai testicoli e PFAS nella popolazione veneta dell’area contaminata.

L’Istituto Superiore di Sanità ha pre-elaborato e reso disponibili i dati anonimi provenienti dagli archivi dei certificati di morte dell’Istituto Nazionale di Statistica relativi ai residenti delle province di Vicenza, Padova e Verona deceduti tra il 1980 e il 2018. L’analisi del periodo di calendario e coorte di nascita è stata effettuata utilizzando come riferimento la popolazione totale delle tre province. L’esposizione è stata definita sulla base della residenza in uno dei 30 comuni dell’area Rossa, dove l’acquedotto che fornisce acqua potabile era alimentato dalla falda contaminata. Nel 1985 nella Regione Veneto sono stati accorpati tre acquedotti, attingendo alla falda di Almisano, che era particolarmente ricca e supposta buona, per 30 comuni. Proprio in quel periodo è iniziata la contaminazione della falda. Nessuno lo sapeva. Dal punto di vista tecnico e statistico, questo evento ha permesso di trarre conclusioni più vincolanti sull’associazione tra patologie cardiocircolatorie e PFAS.

«Nei 34 anni compresi tra il 1985, assunto come data di inizio della contaminazione delle acque e il 2018. ultimo anno di disponibilità dei dati di mortalità causa-specifica nella popolazione residente dell’area Rossa, abbiamo osservato 51.621 decessi contro 47.731 attesi (in base a quanto si è visto nelle zone limitrofe non interessate dalla contaminazione ndr) – ha spiegato Annibale Biggeri illustrando i risultati dello studio –. Si tratta di un eccesso di 3890 morti rispetto all’atteso, cioè di un morto in più ogni 3 giorni. Abbiamo trovato prove di un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari, in particolare malattie cardiache, cardiopatia ischemica e malattie neoplastiche maligne, tra cui il cancro del rene e il cancro ai testicoli. E la tendenza è in crescita soprattutto tra i più giovani, dove abbiamo riscontrato un aumento della mortalità per tumori. Degno di nota anche il fatto che si riscontri un effetto protettivo nelle donne in età fertile, probabilmente dovuto al trasferimento di PFAS alla progenie». Per la realizzazione dello studio i ricercatori si sono avvalsi anche della collaborazione del gruppo Mamme no PFAS, che nel corso degli anni si è battuto in ogni modo per parlare e portare all’attenzione delle autorità i problemi associati alle acque contaminate. Dopo la pubblicazione dello studio dell’Università di Padova le mamme sono tornate a chiedere uno studio di coorte approvato dalla Regione nel 2016, ma mai partito. La partenza di questo studio potrebbe fornire informazioni che l’attuale Piano di Sorveglianza non può dare, relative, per esempio, agli effetti a lungo termine e all’identificazione dei singoli fattori di rischio, e servirebbe per definire politiche di salute pubblica più incisive di quelle attuali. Le Mamme No PFAS denunciano una maggiore incidenza anche di patologie diverse da quelle analizzate nello studio, come quelle della tiroide, i deficit dell’attenzione dei bambini, i parti prematuri, fino agli aborti spontanei.

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