di Angela Nanni
Uno studio americano ha evidenziato che se si arriva alla mezza età senza soffrire di ipertensione, diabete e obesità si riducono le possibilità di sviluppare insufficienza cardiaca.Lo studio dimostra che i maggiori benefici per il cuore derivano dal mantenere il peso entro la norma.È noto infatti che alla base dello sviluppo del diabete,così come quello dell’ipertensione e delle connesse malattie cardiache vi sia un peso superiore alla norma
Quando si parla di insufficienza cardiaca si intende l’incapacità del cuore di pompare quantità di sangue adeguate alle necessità dell’organismo umano: tale condizione determina un accumulo di liquidi a livello degli arti inferiori, dei polmoni e anche di altri tessuti. La problematica, di solito, compare come conseguenza di una lesione cardiaca, come può esserlo un infarto, ma anche a causa di un’eccessiva sollecitazione del cuore stesso, come può succedere se si soffre per molti anni di un’ipertensione non adeguatamente trattata. L’insufficienza cardiaca, quindi, è una condizione patologica seria che può essere trattata quanto prima viene diagnosticata, ma è comunque un disturbo che peggiora sensibilmente la qualità di vita di chi ne soffre. Uno studio statunitense recentemente pubblicato sulla rivista “Journal of American College of Cardiology” e condotto presso la “Northwestern University Feinberg School of Medicine” di Chicago (Stati Uniti) ha evidenziato che se si arriva alla mezza età (quindi circa 45 anni) senza soffrire né di ipertensione, né di diabete e senza essere obesi ciò consentirebbe di avere fino al 73% di probabilità in meno di sviluppare insufficienza cardiaca, rispetto alle persone che alla stessa età presentano tutti e tre i fattori di rischio presi in considerazione. Lo studio ha anche permesso di affermare che arrivare senza nessuno dei tre fattori di rischio fino all’età di 55 anni, ha come effetto quello di abbassare fino all’ 83% le probabilità di sviluppare il problema cardiaco, rispetto ai pazienti che a 55 anni sono affetti da tutte e tre le condizioni patologiche. Gli autori dello studio sono arrivati a queste conclusioni dopo aver esaminato i dati relativi a decine di migliaia di uomini e donne americani: da un punto di vista statistico hanno trovato che a 45 anni l’1% dei pazienti presi in esame soffriva contemporaneamente di diabete, obesità e ipertensione, percentuale che saliva al 2,6% all’età di 55 anni. Fra i pazienti presi in carico, per 1677 di loro è stata fatta la diagnosi di insufficienza cardiaca dopo i 45 anni e dopo i 55 anni la diagnosi è stata fatta per 2976 pazienti. Le persone che nella fascia di età compresa fra i 45 e i 55 anni hanno potuto vantarsi di non soffrire né di diabete né di obesità e né di ipertensione hanno evidenziato la più bassa probabilità di ammalarsi di insufficienza cardiaca nell’età avanzata. I 45enni senza i tre fattori di rischio hanno vissuto in media 10,6 anni in più liberi da problemi cardiaci rispetto agli uomini che avevano i tre fattori di rischio, mente le donne 45enni senza i tre fattori di rischio hanno vissuto un media di 14,9 anni più a lungo senza scompenso cardiaco. Le persone senza diabete nella mezza età hanno vissuto una media di 8,6 e 10,6 anni in più senza insufficienza cardiaca rispetto a chi aveva il diabete.
Da questo studio appare evidente come sia fondamentale per tutti, a tutte le età, tenere sotto controllo il proprio peso corporeo. Ovvero, tentare di restare sempre normopeso. Non è un mistero come spesso alla base dello sviluppo del diabete, così come quello dell’ipertensione, vi sia un peso superiore alla norma. Per quale motivo il sovrappeso e in particolare l’obesità scatenino l’ipertensione non è ancora del tutto chiaro, anche se sembra che l’eccessivo accumulo di tessuto adiposo a livello della pancia favorisca l’attivazione delle ghiandole surrenali con sovrapproduzione di aldosterone, un ormone responsabile sia della de-regolazione della pressione arteriosa sia della ritenzione di acqua e sale. Per quanto riguarda la relazione fra sovrappeso e obesità e aumento nella probabilità di sviluppare diabete, anche in questo caso è importante notare come il pericolo maggiore derivi dall’accumulo di grasso a livello dell’addome. L’accumulo di lipidi a questo livello, infatti, aumenta la resistenza all’azione dell’insulina. Quest’ormone, in condizioni fisiologiche, si assicura che tutto il glucosio, anziché restare inutilizzato in circolo, venga usato dalle cellule per i loro scopi energetici. Può succedere però che l’insulina fatichi a far entrare il glucosio nelle cellule: per questo si parla di resistenza alla sua azione e questo fenomeno dà l’avvio anche a un aumento dei trigliceridi circolanti e una diminuzione nei livelli di colesterolo HDL (il cosiddetto colesterolo buono). «L’instaurarsi di questo circolo vizioso, inoltre, determina anche il danneggiamento delle cellule endoteliali ovvero di quelle che rivestono i vasi sanguigni, con attivazione anche dei fattori pro-trombotici che predispongono allo sviluppo della placca arteriosclerotica, una situazione che con il tempo può portare all’infarto e/o all’ictus cerebrale» chiarisce il professor Roberto Volpe, medico ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma. Le donne, anche quando fuori peso forma, tendono ad accumulare grasso sulla pancia dopo la menopausa, mentre gli uomini tendono a mettere su pancia fin da giovani. Da queste semplici osservazioni appare evidente come sia di fondamentale importanza cercare di mantenersi normopeso e anche controllare, di routine, la propria glicemia e la pressione arteriosa.
Perché è così difficile mantenere il peso corporeo nella norma? Negli ultimi decenni la difficoltà di mantenere il proprio peso forma si è fatta sempre più evidente, ma perché? A tal proposito il professor Volpe spiega: «che con il passare degli anni si assiste a un generale rallentamento del metabolismo, al quale molto spesso, si accompagna una minore propensione per l’attività fisica e in particolare per tutte quelle attività faticose che consentirebbero, se praticate, un grande dispendio calorico. Mentre a 30-40 anni si esce per andare a correre, a 50-60 si ripiega su una passeggiata, così come chi in gioventù andava regolarmente in bici, a un certo punto si limita alla cyclette. Sono esempi semplici che però rendono bene l’idea di come, con il trascorrere del tempo, ci si lasci spesso andare e a risentirne, purtroppo, è il peso corporeo, che lievitando dà l’innesco a tutta una serie di problematiche di salute».
Sono moltissime le persone, inoltre, che si dicono rassegnate al fatto, che al di là di quelle che possono essere le proprie abitudini di vita, svilupperanno diabete o ipertensione per il semplice fatto di avere parenti stretti che ne soffrono. «Sia l’ipertensione che il diabete di tipo 2 non sono patologie ereditarie, anche se in entrambe le condizioni è riconoscibile una predisposizione familiare. C’è da precisare, però, che si ereditano anche gli stili di vita sbagliati che possono spianare la strada alle condizioni patologiche in oggetto. Se si impara a cucinare da una nonna o una mamma abituate ad eccedere con il sale o se, al contrario, non si è voluto imparare a farlo, ma si ripiega sui sughi pronti, vi è un’elevata probabilità di fare uso di troppo sale. Questo è un esempio semplice, ma che rende bene l’idea. Non si eredita solo la predisposizione alla malattia, ma anche il modo di vivere. Se in famiglia non si è vissuto il buon esempio in fatto di abitudini alimentari, sarà molto difficile cambiarle per evitare di sviluppare condizioni come il diabete o l’ipertensione. Allo stesso modo vivere con persone scarsamente dedite all’attività fisica non invoglia alla pratica. Se si vive con qualcuno che prende regolarmente l’ascensore, difficilmente si morirà dalla voglia di fare le scale a piedi» afferma ancora il dottor Volpe.
Riuscire a tenere il peso corporeo nella norma dunque è anche questione di volontà: è necessario darsi delle regole, cercare di praticare regolarmente un’attività sportiva, meglio se aerobica e adottare sane abitudini alimentari. A tal proposito, il professor Volpe tiene a precisare che «si tratta di adottare sistematicamente semplici accorgimenti come quello di limitare i carboidrati a cena e riservarli, piuttosto per il pranzo che dovrebbe rappresentare il pasto principale della giornata. A mezzogiorno bisognerebbe sempre preferire i piatti di pasta semplice a quelli farciti come lasagne, tortellini o ravioli. Un altro errore molto comune è quello di combinare la pasta o il riso con le patate, in realtà l’uno esclude l’altro: se a pranzo si mangia un risotto, per contorno è meglio evitare le patate, comunque esse siano cucinate. Per quanto riguarda i secondi piatti, poi, è meglio scegliere sempre quelli dai quali si può eliminare il grasso visibile; ecco perché vanno bene la bistecca di maiale o il prosciutto crudo e molto meno le salsicce o il salame. Per quanto riguarda il capitolo formaggi bisognerebbe innanzitutto non abusarne, o comunque consumare con maggiore frequenza quelli meno grassi come la ricotta di mucca, per esempio. Per quanto riguarda i condimenti, poi, è meglio usare l’olio extravergine di oliva da aggiungere con lo spruzzino o con il cucchiaino per non eccedere con le quantità; il sale andrebbe aggiunto con molta parsimonia, tanto più che le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomandano di non consumarne più di 5 g al giorno, proprio per mantenersi in buona salute. Stesso discorso vale anche per lo zucchero: è un ottima abitudine non dolcificare il latte, per esempio, che già di suo contiene lattosio che è uno zucchero e conferisce il caratteristico sapore dolciastro alla bevanda. Da ultimo, ma non per importanza, attenzione alla sempre più diffusa abitudine dell’aperitivo: l’happy hour, più che un’ora felice, rischia di diventare un’ora molto dannosa per via delle calorie dell’alcol e del sale aggiunto in grandi quantità in pizzette e patatine»